giovedì 19 febbraio 2009

In morte del padre di un mio amico podista

Questa, rispetto al tema che mi sono dato è una digressione - o forse no.
Mi viene spontaneo, comunque inserire questo materiale.
Ieri o l'altro ieri, adesso non so bene, è morto dopo una lunga ed invalidante malattia, il padre di un mio amico podista, runner sulle ultradistanze ed anche armato del pallino della scrittura che lo porta a tradurre sulla carta le sue sensazioni, emozioni ed esperienze durante la corsa.
Pochi giorni prima mi aveva inviato un suo breve scritto, intensamente autobiografico, nel quale raccontava il peso emozionale dell'asssitenza al padre, malato terminale di una malattia che non perdona, ormai in uno stato di evoluzione avanzato.
Ieri, mi ha scritto per comunicarmi del trapasso di suo padre.

Caro Maurizio, è con il palato asciutto che ti comunico il decesso di mio padre.
Perdona questo messaggio portatore di tristezza, ma dal momento in cui ti avevo trasmesso un piccolo manoscritto realizzato nei giorni di sofferenza, quando le cure non avevano più senso di esistere, mi è parso giusto farti partecipe del mio dolore.
Nonostante i dissidi e le incomprensioni, il tempo ed il buon senso hanno riunito i nostri cuori più di quanto non fosse sperabile.
Mio padre è stato un grande uomo di sport e si porta dietro tutto il bene e l'amore che ha regalato alla sua passione: il ciclismo.
Io lo ricorderò per questo e per altro, ma soprattutto porterò sempre una parte della sua anima sulle strade del mondo.
Su quelle in cui i miei passi si fonderanno con il suo respiro.
A presto.
A*****

Io gli ho
subito inviato una mail, tentando di esprimere la mia solidarietà e la mia empatia.
In simili momenti, per cercare di capire ed essere vicini ad altri, possiamo solo fare riferimento a ciò che ci è già noto per vicissitudini personali e, quindi, non ho potuto fare a meno di ripensare a mio padre e alla sua dipartita.
La mia risposta:

Carissimo A*****,
in questi momenti ci sono ben che poche parole che si possano pronunciare.
Valgono soltanto l'empatia, la capacità di immedesimazione nel dolore di chi - come te - ha subito il dolore della dipartita di una persona cara, come soltanto un padre o una madre possono esserli.
Spero soltanto che tuo padre che, sicuramente ha seguito le tue imprese sportive, abbia potuto essere consapevole del compimento di questa tua altra impresa (la scrittura e la pubblicazione a stampa del tuo bel libro) e che l'abbia potuto tenere tra le mani, prima di andar via.
Pensa - per consolarti - che tuo padre ti ha visto arrivare sino agli anni della adultità, della maturità, ha potuto vedere che la tua vita prendeva forma e che tu compivi le tue scelte e, infine, cosa non da poco, ha potuto seguire - lui stesso sportivo, a quanto mi dici - l'evolversi della tua passione - intima, introversa e riflessiva - per il podismo. Pensa che, certamente, per tutte queste cose, egli non ha potuto che essere contento di avere un figlio che gli garantiva in questo modo una sua prosecuzione in questo mondo.
Il vero lutto, il vero dolore, nella perdita di una persona cara è nel fatto che si spegne quella parte di noi che viveva nella sua mente.Questa, anche nella mia esperienza personale, è la cosa più dura con cui confrontarsi.
Mentre chi non è più potrà vivere, per sempre, nel nostro ricordo.
Ti sono vicino in questo grande dolore.

Poi, in un secondo momento gli ho inviato una seconda mail, partendo da alcune considerazioni sul suo racconto così intensamente autobiografico. Anche qui, in questa seconda lettera, non ho potuto fare a meno di parlare di mio padre e della sua morte.

Quello che hai scritto in "URLO" è intenso, di un'intensità che fa davvero male. E' qualcosa che posso comprendere perché da medico sono stato vicino al morire, qualche volta, quando lavoravo in una divisione di neurologia.
Come uomo, invece, questa esperienza straziante del lento morire di una persona che mi è cara, non l'ho ancora fatta, per fortuna.
Mia madre, anzianissima, è ancora con me.
Mio padre è morto quando avevo 22 anni, ma non l'ho mai visto morto. E' morto in un disastro aereo e io l'ho visto rientrare a casa già chiuso dentro una bara, forse il suo corpo - lì dentro, invisibile ai miei occhi - era straziato e pietosamente ricomposto.
Ma il doverlo riconescere mi è stato risparmiato.
Mio padre è morto, essendo in perfetta salute (54 anni) con la prospettiva ancora di una lunga vita davanti a sé. E' morto lavorando.
Era giornalista e tornava a casa da uno dei suoi viaggi di lavoro (prendeva l'aereo come se fosse un autobus o un taxi).
Quando si parlava della morte, diceva che voleva morire rapidamente, quando ciò sarebbe dovuto capitare.
Lui, magari, pensava che il suo veloce morire sarebbe stato determinato da un infarto, o magari da un altro tipo di morte fulminante. Ma E sono certo che non pensava certamente ad una morte lenta.
Non è stato un infarto, ma il suo trapasso per lui è stato egualmente fulmineo, anche se - per frazioni di secondo - avrà avuto forse il tempo di rendersi conto di ciò che stava accadendo e di prepararsi. Anche se, per questa evenienza, non si è mai pronti.
E' stato fortunato a morire così?
Non so.
Non posso rispondere.
Certo, io non mi sono sentito fortunato per il modo della sua morte.
Mi sono ritrovato senza l'essenziale confronto con una figura paterna proprio negli anni cruciali, quelli in cui - al prezzo di un conflitto smisurato con lui - stavo costruendo una mia "vera" e sofferta indipendenza.
E, a causa della sua improvvisa scomparsa che ho considerato alla stessa stregua di un tradimento, mi sono sentito defraudato.
Dal suo punto di vista, invece, se non fosse morto allora in questo modo repentino, magari il trapasso sarebbe avvenuto in una maniera lenta e dolorosa.
Io sarei stato contento per averlo avuto più a lungo con me, ma lui no, avrebbe detestato la sorte che un destino malevolo gli imponeva.
Certo è comunque che la medicina contemporanea più che "curare" infligge a volte delle sofferenze intollerabili e condanna a forme di vita "sulla soglia" che non sono più vita, perché non c'è più spazio per la gioia e la leggerezza, anche soltanto in piccole dosi. Se non si può più sorridere, se ogni giorno è un infinito calvario, qual'è il senso del sopravvivere per qualche giorno o qualche ora in più?

1 commento:

  1. In effetti, subito dopo aver scritto questa nota, dopo essermi arrovellato ancora a lungo, mi sono arreso e sono andato da mia madre a porle la più banale delle domande.
    "Mamma, quando festeggiavamo il compleanno di papà?". Lei molto naturalmente, mi ha detto: "ma, naturalmente il 1° febbraio!".
    Ecco quindi la data esatta di nascita mio padre: è il 1° febbraio del 1918.
    Andando a guardare nel primo post che ho scritto in questo blog, vedo che ho commesso lo stesso errore e che ho messo come data di nascita sempre il 4 ottobre.
    Evidentemente, il 4 ottobre con tutte quell'intrecciarsi di ricorrenze, era davvero una data "pregnante".

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