domenica 26 settembre 2010

Mio padre, i libri e letture: le passioni che mi ha trasmesso

Mio padre e mia madre erano dei grandi lettori.
A casa c'erano tantissimi libri, molti della loro gioventù, anche se nelle loro famiglie negli anni precedenti la guerra non c'erano molti soldi per comprarne e i pochi libri che circolavano in casa non erano quasi mai di proprietà esclusiva di qualcuno. Come gli abiti, passavano di mano in mano, dal fratello o dalla sorella più grandi ai più piccoli man mano che il tempo passava.
Poi, sin dall'inizio della loro vita matrimoniale papà e mamma cominciarono ad acquistare dei libri e, naturalmente, entravano in casa - in più - tutti i i libri scolastici che mia mamma riceveva in visione e quelli di "lavoro" di papà: saggi storici, politici, biografie, testi filosofici, testi di economia politica.
Quando ero più grande - già al Liceo - aspettavo sempre che papà tornasse da casa, perchè sovente portava con sé un pacchetto contenente almeno dieci volumi che io subito esaminavo con curiosità, immaginando che ci potesse essere anche qualche cosa per me: ma il più delle volte erano cose che rientravano tra i suoi interesi di lavoro e che, ciò nondimeno, qualche volta io leggevo egualmente - anche se solo in parte.
Invece, quando ero più piccolo mio padre mi portava spesso con sé alla Libreria Flaccovio che, negli anni del dopoguerra a Palermo fu veramente un formidabile punto di riferimento della vita culturale non solo palermitana, ma globalmente siciliana.
Non era raro lì incontrare il poeta Ignazio Buttitta o importanti pittori, visto che - frequentemente - negli spazi della Libreria venivano allestite delle mostre.
Mentre mio padre chiacchierava con Fausto Flaccovio, io curiosavo in libertà tra gli scaffali del reparto dei libri per i ragazzi: ero deliziato di questa libertà che mi era concesso sotto l'occhio premuroso della signorina Iole (una delle istituzioni della libreria Flaccovio), anche perchè talvolta Fausto Flaccovio mi invitava a scegliere un libro da portare via ed, immancabilmente, la mia scelta si appuntava su uno dei più costosi. A nulla valevano i tentativi di dissuasione di papà e le sue instancabili proposte alternative. Fausto Flaccovio non faceva una piega e alla fine io, orgoglioso, mi portavo via quel libro ben incartato, pregustandone la lettura di lì a poco. A distanza di tempo, mi son chiesto più volte se poi mio padre non pagasse sottobanco (in camera caritatis) quei volumi, imbarazzato dell'invadenza e della poca discrezione delle mie scelte.
A casa papà leggeva soprattutto di notte: una volta, quando stavo per andare a letto, andai a salutarlo. Era seduto in salotto, come usava fare spesso. Aveva accanto a sé il tubler con due dita di bourbon e un grosso libro sulle ginocchia. "Che fai? Non vai a letto"? - gli chiesi. No! - fece lui - rimango a leggere ancora un po'". La mattina, quando mi alzai, ancora assonnato, vidi la luce del salottto ancora accesa: entrai nella stanza e lui era seduto ancora là dove l'avevo lasciato, con il libro anche questa volta sulle ginocchia, ma chiuso adesso. "Che fai? Non sei andato a dormire? - chiesi. "No. Ho letto per tutta la notte. L'ho appena finito" - replicò indicando il volume posato in grembo. Il grosso tomo era una biografia di Bismarck.
Ma così come leggeva libri di questo tipo, con altrettanta voracità leggeva polizieschi e romanzi "seri" (conosceva bene molti classici della letteratura e, appena uscito, lesse per intero "L'uomo senza qualità" di Musil.
Mamma nelle sue letture era più discreta (ma leggeva tantissimo compatibilmente con le sue incombenze scolastiche e familiari) e con lei frequentavamo il deposito della Fabbri editore che, oltre a stampare molti testi scolastici, pubblicava una grande varietà di ibri per ragazzi: alcuni me li comprava al prezzo scontato che le faceva il titolare del deposito, altri invece diventavano regali di Natale o per la Befana. Mamma mi stimolava a leggere, ma quasi mai mi leggeva delle cose, che io mi ricordi.
Papà, invece, quando ero più piccino usava fare delle letture a me e a mio fratello, quando eravamo già a letto, prima che si spegnesse la luce. E questi erano dei momenti sempre molto attesi.
Ci intratteneva abilmente: in parte leggeva, recitando; in parte raccontava, per alleggerire quei passaggi che a noi, ancora piccoli, sarebbero risultati noiosi.
Le letture di cui io mi ricordo furono, per citarne alcune: la storia di Alì Babà e i quaranta ladroni, quella di Aladino e la lampada magica, ma anche ci meravigliava con i viaggi avventurosi di Sinbad il marinaio, tra i quali mi colpirono maggiormente quello dell'incontro con il mitico uccello Rok oppure quello dello sbarco di Sinbad su di un'isola (che poi altro che non era che un gigantesco pesce con il dorso parzialmente emerso).
In contemporanea, mentre crescevo, sia a me sia a mio fratello, di concerto da mamma e papà venivano fatte proposte di lettura attraverso i regali delle grandi occasioni: fu così che arrivarono i romanzi di Salgari e di Jules Verne.
Papà era instancabile nelle sue proposte e, man mano che crescevo, se ne veniva fuori con delle aperture nuove ed inedite: fu così che, visto che mi ero appassionato ai romanzi di avventure salgariane, mi presentò un grosso volume contenente romanzi e racconti Conrad (che rappresenta l'evoluzione psicologica del romanzo marinaresco e di avventure) o anche alcune opere di Melville, con delle diramazioni verso il genere poliziesco (Conan Doyle e Sherlock Holmes), l'horror (Poe, Lovecraft) e anche ovviamente la letteratura diaristica di viaggio, di cui lui era un'instancabile cultore. Fu sempre lui a portarmi i primi volumetti dell'Urania, la mitica collana di fantascienza della Mondadori o anche le ben più serie propooste della science-fiction "colta" contenute nelle altrettanto mitiche antologie curate da Fruttero e Lucentino (prima Le meraviglie dell'impossibile e, successivamente "Le meraviglie del possibile" che rappresentarono lo sdoganamento udfficiale della fantascienza nell'editoria "colta")
Una volta - ad esempio - andammo a cinema a vedere la trasposizione in film della storia di Billy Budd il marinaio: un bellissimo film in bianco nero dei primi anni '60, commovente e triste. Al ritorno a casa tirò fuori il romanzo breve di Melville (da cui il film era stato tratto) e cominciò a leggermene alcuni brani che mi rimasero scolpiti con la nobile frase finale dell'innocente Billy Budd che, pur condannato all'impiccagione in applicazione del rigido regolamento della Royal Navy in tempo di guerra, prima della fine esclama davanti all'equipaggio riunito per assistere alla pena capitale: "Dio benedica il comandante De Vere!"
Penso sempre con nostalgia alle letture che mi faceva mio padre: credo che in molteplici modi sia riuscito a trasmettermi la passione per la lettura e per i libri (una passione che, a tratti, sconfina nella bibliofilia)
Forse proprio perchè animato dal riferimento nostalgico al passato, le stesse cose io ho cercato di fare io con mio figlio: anche mio figlio, con me, è cresciuto circondato dai libri, ma non so ancora se in qualche modo sono riuscito a trasmettergli qualcosa dei mondi meravigliosi che i libri possono schiuderti dinanzi e sul valore quasi sacrale che essi possono avere anche come testimoni che vengono passati da una generazione all'altra (e, in effetti, in un passato ancora non lontano - e così mi sono abituato a sentire io stesso - i libri erano un vero e proprio patrimonio di famiglia, senza un vero valore monetario ma di inestimabile prezzo dal punto vista valoriale).
Certo è che oggi tante cose sono cambiate e che tra i ragazzi della stessa età di mio figlio domina molto di più una cultura visuale che decisamente by-passa la parola scritta: e quindi - forse per questo motivo - la passione per il libro e per la lettura sono un po' in declino.

venerdì 10 settembre 2010

La passione di mio padre per le camminate in montagna


Mio padre amava molto camminare in montagna.
Non credo l'avesse mai fatto in gioventù come applicazione sportiva e di puro piacere, ma piuttosto aveva appreso la dura fatica del camminare con le marce a piedi che allora erano parte ineliminabile di ogni addestramento militare.
Eppure negli ultimi venti anni della sua vità riscoprì il piacere del camminare a piedi: amava fare lunghe camminate in montagna, a volte nei pressi di casa (Monte Pellegrino, Monte Cuccio, Pizzo Manolfo), a volte sulle Madonie, facendo base - il più delle volte - al Rifugio del Club Alpino Siciliano (CAS) di Piano Zucchi, initimamente connesso a memorie famigliari.
La montagna era nel vero senso della parola (anche se in senso benevolo) una sua ossessione: per esempio, lo incantava l'asprezza di Rocca Busambra, tanto che quando ci spostavamo in auto nel cuore della Sicilia gli pareva di vedere la sua massa imponente dovunque e mentre era alla guida, ci gridava: Eccola! Ecoola, Rocca Busambra!", un po' come facevano i balenieri di un tempo quando abbarbicati sula coffa dell'albero maestro gridavano "Thar she blows!"
Spesso, io e i miei cugini andavamo con lui: si trattava di camminate impegnative, perchè mio padre non amava sostare troppo a lungo. Quindi, in genere, ci muovevamo piuttosto rapidamente e il più delle volte, per ora di pranzo, eravamo già di ritorno, prontio a fare un'ulteriore breve scarpinata nel pomeriggio prima di andar via.
Con una certa frequenza, andavamo a passare in montagna al Rifugio di Piano Zucchi l'intero fine settimana. E ho un ricordo molto bello di questi week-end, in cui eravamo spesso (ma non esclusivamente) tutti insieme con mia mamma e mio fratello.
Altrettanto spesso, papà amava andare da solo.
Credo che questo suo modo di accostarsi alle bellezze dei monti siciliani fosse un modo per "ricaricarsi" e per far fronte agli incalzanti impegni lavorativi che lo attendevano nella nuova settimana che si sarebbe aperta di lì a poche ore, ma anche per ritrovare la serenità e per "mettersi in fuga", in qualche maniera dagli assilli della vita.
Credo che fosse per questo che papà adorasse, in definitiva, essere da solo, quando camminava.
Era più vicino al cielo quando raggiungeva una delle vette delle Madonie: credo che anche questa sensazione gli piacesse, a lui che, pur essendo in grado di affrontare con abilità le più diverse questioni pratiche, era un idealista con la convinzione di poter cambiare il mondo con la forza della cultura o di poterlo rendere migliore.
Sino all'ultimo fece le sue camminate.
Poco tempo prima della sua morte (nel 1970) venne inaugurato un nuovo rifugio del CAS a Piano Sempria, a 1300 m slm, proprio sopra Castelbuono e sulle pendici di Pizzo Carbonara.
Le sue ultime escursioni avvennero proprio qui: ricordo che qualche volta ci andammo assieme (c'erano anche i miei i miei cugini, con i quali mio padre era sempre molto affettuoso) a godere della bellezza di sentieri che si inerpicavano sul fianco della montagna attraverso fitte faggete, su su sino alla grande croce di ferro eretta proprio sulla cresta di Pizzo Carbonara in un punto aggettante su di un panorama mozzafiato.
Al trigesimo della sua morte, il Rifugio di Piano Sempria vene intitolato proprio a lui per ricordare questa sua grande passione per le sue Madonie.
Un suo amico ha scritto, nel primo numero di Cronache Parlamentari Siciliane (la rivista mensile dell'Assemblea Regionale siciliana, da lui diretta per 13 anni consecutivamente) uscito dopo la sua morte (Aldo Scimé, Ricordo di Francesco Crispi):

Poi, improvvisamente spariva: era a Bayreuth o a Bruxelles o a Strasburgo o, più semplicemente, a remare (fu campione di canottaggio) o sulle Madonie a girovagare sui monti, solo, con un bastone: forse da queste pause attingeva la forza per smaltire i disinganni, le delusioni, il dolore dell'incomprensione. Ma tutte queste cose non lo fermavano. Riappariva sereno e sorridente, con il passo cadenzato e forte di chi è abituato a camminare per i sentieri impervi di montagna e ha una lunga strada da percorrere (Cronache Parlamentari Siciliane, 5-6, 1972, p. 387)

 
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